- 14/11/2023
Chi fa kendo è bello: l’insegnamento di Inoue Shigeaki Hanshi
Una riflessione a cura di Luigi Rigolio (6° Dan di Kendo), il Sensei che dirige lezioni e attività del Kenzan.
Quest’anno ho avuto l’opportunità di frequentare Inoue Sensei non solo nella pratica del Kendo, ma anche in momenti conviviali. Ancora una volta, il Maestro mi ha ispirato e sbilanciato nelle mie convinzioni.
L’insegnamento che ha scatenato una catena di riflessioni è stato: “Chi fa kendo è bello, ed esprime questa bellezza”.
Personalmente curo poco il mio aspetto esteriore, nonostante la mia professione, dove il modo di presentarsi ai clienti ha un grande peso. Inoue ha ricordato come, nell’era dell’informatica, le persone interagiscono con video e cellulari, quindi sono meno abituate ad esprimersi in modo “energetico”. Ne deriva che stanno cambiando le modalità di interazione, e le nuove generazioni useranno diversamente la comunicazione, a partire dalla voce.
Chi fa Kendo invece deve emanare energia, ma non in forma violenta. I colpi devono essere leggeri ma portati con tutta la determinazione, anche in età avanzata. Chi fa Kendo deve essere riconosciuto anche fuori dal Dojo, per come si muove, come si presenta, come saluta, come usa la voce.
Il suggerimento di Inoue Sensei può essere letto come un invito a fare un Ki-ai più intenso, consapevole, profondo. In parte è così, ma ormai sappiamo che nel Budo le soluzioni non sono mai semplici. C’è sempre un lato nascosto, qualcosa che si scopre dopo… un demone che sbarra la nostra strada.
Approfondire la questione dell’espressione dell’energia ripropone antiche domande: cos’è la Via, cosa significa praticare Kendo? Dopo 50 anni a praticare Kendo in Italia, è per me ormai chiaro che recarsi in un Dojo a combattere con uno Shinai non si traduce automaticamente in crescita personale. Come ci si incammina in un percorso verso la bellezza, la capacità di esprimere un comportamento elegante, che possa essere ammirato dentro e fuori dal Dojo?
Un tema critico, che sento molto, è la gestione della rabbia, delle paure e dei sentimenti negativi che fanno radicalmente parte dell’essere umano, in quanto hanno una base biologica. Intorno ai nostri demoni costruiamo la nostra personalità, i nostri difetti e pregi. Per gli antichi greci, Giove ci ha donato due bisacce. Quella con i difetti degli altri sul petto, quella con i nostri difetti sulla schiena. Ne deriva che ci risulta molto facile vedere i problemi degli altri, molto difficile vedere i nostri.
Da qualche anno sono impegnato ad affrontare i miei lati oscuri, con pochi successi e molte sconfitte. La rabbia genera frustrazione, la frustrazione genera rabbia, e tutto si traduce in comportamenti poco eleganti, poco belli. Per concentrarmi mi sono tolto da Facebook e dalle chat, dove perdevo molto tempo a riflettere sugli altri, su problemi che non posso risolvere.
In base alla mia esperienza, il Dojo non è il contesto dove la nostra anima trova le soluzioni, altrimenti potremmo proporre il Kendo come un surrogato della psicanalisi. La letteratura buddista è concorde: non c’è una ricetta per evolvere, non ci sono soluzioni garantite. La pratica nel Dojo è semplicemente un’occasione di crescita, ovvero la possibilità di incontrare persone più evolute, e persone alle prese con grandi problemi, sicuramente meno “belle”. L’incontro con l’Altro, in qualsiasi stadio di evoluzione, è un’opportunità se sappiamo specchiarci, se troviamo ispirazione per affrontare i nostri ostacoli.
Come comprendere quindi se siamo sulla strada indicata da Inoue Hanshi: il percorso verso la bellezza, verso la capacità di esprimere eleganza? Seguendo i suoi insegnamenti, quando il nostro percorso diventa visibile, anche esteriormente, saranno gli altri a percepire l’evoluzione. Il ritorno è nelle relazioni, dove possiamo raccogliere stima o disapprovazione, collaborazione oppure opposizione. Altri segnali si rivelano nel mio orticello, più difficili da individuare. Ho le idee chiare sul mio percorso di miglioramento? Qual è il mio prossimo ostacolo? Sono focalizzato sui miei ostacoli o sulle difficoltà degli altri?
Mi colpisce sempre osservare, stando al fianco dei Sensei più prestigiosi, quanto poco sfruttiamo la loro esperienza e conoscenza. Nessuno ha domande, se escludiamo “Maestro, mi dà un suggerimento per passare il prossimo esame…?”
Chi coltiva veramente ha molte domande per il Professore di Agraria, ma anche per il vicino che ha risultati migliori. Niente domande significa niente risposte e niente crescita, l’orto non produce. Quindi il primo passo è analizzare il proprio orticello, ma non è facile, né naturale. La nostra biologia ci spinge a comportamenti più vitali, come procurarci il cibo, mettere su famiglia, guadagnare soldi e scalare posizioni nel “branco”. Non c’è nulla di male: il Budo è una sorta di forzatura dell’essere umano. Non è naturale trasformare un albero che voleva crescere verso l’alto in un Bonsai che esprime eleganza e poesia. È uno sforzo innaturale trasformare ogni occasione in lavoro dell’orto, senza aspettare l’arrivo del prossimo Sensei.
Un compagno di pratica che è in difficoltà nel percorso di trasformazione è veramente “diverso” oppure è semplicemente seduto all’estremo di una panchina dove sta tutta la squadra? Cosa posso imparare da chi è in affanno? Così anche l’ultimo arrivato o la persona che stimo di meno può diventare maestro, fonte di riflessione.
Il Buddismo Zen, alla radice del Budo, rappresenta la bellezza nel piccolo, in un vaso. La bellezza è un segnale, un punto di arrivo, qualcosa che non si compra.
All’opposto, il motore delle crociate è il moralismo, dove si individua un nemico, ci si dipinge il simbolo che ci definisce dalla parte del giusto, e si va all’attacco. Vediamo tutti i giorni questo spettacolo ripetersi con conseguenze terribili per i più deboli. Nessuna bellezza, nessuna eleganza, nessun percorso.
L’Hagakure invita a cercare il nemico da sconfiggere nella propria anima. Nei secoli passati, in Giappone il messaggio del Buddha è stato accolto ed elaborato. Nella casta dei Samurai alcuni illuminati, in collaborazione con monaci famosi, hanno disegnato una nuova via nella pratica del Bushido.
Apparentemente, maneggiare un’arma, uno strumento di morte, sembra incompatibile con il messaggio del Buddha, eppure può essere esattamente il contrario. Inoue Hanshi ha accennato alla connessione tra vita e morte, tra Kendo e morte. Per noi anziani il tema del tempo diventa critico, costringe a cercare ciò che conta veramente.
Concludendo, il Dojo non è un luogo perfetto, popolato di Santi e Illuminati. Anzi, è un laboratorio, luogo in cui la realtà emerge nei suoi elementi più semplici, più profondi. Il Dojo è la porzione di inferno dove si può trovare, nascosta tra le foglie, la porta che conduce al proprio orto. Seminiamo bellezza, raccogliamo bellezza.
“Chi fa kendo è bello, ed esprime questa bellezza” Inoue Shigeaki Hanshi